continua da qui, sempre con la partecipazione di Aria, in corsivo.
Alle 21 entrano 7-8 persone nella stanza, correndo. Guardano l’infermiera, che deve averli chiamati senza che ce ne accorgessimo, la quale annuncia loro la prossimità dell’evento.
Capisco solo in quel momento che mancano davvero poche manciate di minuti alla nascita dei miei figli, ma non faccio in tempo a realizzare la cosa perché vengo interrotto da un’altra serie di contrazioni e urla. Le contrazioni sono sempre più vicine tra loro e la ginecologa parla ad Aria, chiedendole di concentrarsi su di lei da quel momento alla fine del parto. L’unico uomo è il pediatra, che si mette in un angolo della stanza, sistema il suo lettino di rianimazione per neonati, pieno di fili per monitorare i piccoli pazienti, un mini defibrillatore, due bombole di ossigeno; rimane in attesa. Le altre persone entrate nella stanza sono le più varie, qualche infermiera, qualche ostetrica, assistenti e pure una stagista, così tante che qualcuna non ha un gran da fare e mi chiede dove siano macchina fotografica e telecamera per immortalare i bambini dal loro primo secondo di vita. Io rimango un po’ basito e declino l’offerta, rassicurandole sul fatto che mi occuperò dell’aspetto mediatico solo dopo che sarà tutto finito, o meglio iniziato a meraviglia.
La ginecologa aiuta Aria guidandola nella respirazione ed entrambi iniziamo a respirare come partorienti.
Respiriamo tutti (chi sul letto chi accanto) come delle partorienti, ma il dolore lo sento solamente io. Mi dicono di spingere e tenere le gambe piegate con le braccia, ma ogni volta che lo faccio, la gamba dell’ostetrica alla mia destra poggia sul letto e trattiene il cavo del sensore del battito cardiaco che mi trattiene il polpastrello della mano destra, rendendomi ancora più difficile l’operazione. Sono stordita dal dolore delle contrazioni ma continuo a sentirlo e dichiaro a Ste che non ce la posso fare, che fa troppo male! Non ho nemmeno la forza di ribattere qualcosa quando mi vietano di urlare (dal dolore)! Riesco solo a pensare che non vogliano spaventare le partorienti nelle altre stanze (solo poi mi chiariranno che serviva a non disperdere energie necessarie per le spinte). Aspetto il momento di svenire, perché con tutto il dolore che sto sopportando, non riuscirò umanamente a sentirne di più. E per la miseria, perché non ho seguito un corso sulla respirazione?!? Avevo trovato qualcosa online e avevo anche fatto degli esercizi, ma nulla sulla respirazione in sé.
A breve è il momento della nascita, e mi ritrovo a tendere gli addominali rumorosamente ogni volta che Aria spinge, come questo potesse esserle d’aiuto.
Pochi minuti dopo nasce Lorenzo. Mentre Aria si contorce (e respira, un po’ piange, un po’ ride), una delle infermiere mi chiede, porgendomi delle forbici dalla forma strana, di tagliare il cordone ombelicale. Appena riesco a capire cosa voglia dirmi, rifiuto cortesemente. Questa guarda la collega stupita, riformulando la domanda ma con la stessa richiesta. Per un attimo credo di aver quasi turbato la loro sensibilità, penso che forse nella loro cultura sia naturale che il padre si occupi di tagliare il cordone, quasi come tagliare il nastro a un’inaugurazione. In realtà non riesco nemmeno a muovermi e tra una spinta e l’altra declino con più vigore la loro proposta, chiedendo solo di fare solo ed esclusivamente in modo che tutto vada per il meglio per tutti e 3, fino ad allora possiamo rinunciare a riti e foto.
Subito dopo l’infermiera alla mia sinistra sale con una gamba su una sedia e una sul letto e inizia a premermi la pancia con le mani. Con un fil di voce le dico che mi sta facendo male (non le ho detto nulla quando mettendomi l’ago nella vena del polso per attaccarci la flebo ha fatto uno spargimento di sangue che quasi quasi mi ci voleva una trasfusione!). Lei continua, imperterrita, e mi informa bruscamente che mi sta aiutando a far nascere mia figlia. Taccio e sopporto (mi verrà spiegato poi che nei parti gemellari, c’è sempre la possibilità che, nato il primo, è possibile che il secondo si sposti e cambi posizione rendendo le cose molto più complicate).
Dieci minuti più tardi nasce Mila.
Entrambi respirano da soli e piangono prima di raggiungere il lettino del pediatra, che li sottopone ai test di Apgar, dando loro soltanto una spruzzata di ossigeno, una “botta de vita” e via. Il test ha esito positivo ed entrambi ottengono 9/10 su 10. Dovranno rimanere in neonatologia per almeno 3 settimane, ma stanno bene e questo è l’importante. Ancor prima di farceli rivedere, un’infermiera ci porta le tradizionali fette biscottate farcite, le beschuiten met muisjes (si veda il post a riguardo): fetta biscottata, generoso strato di margarina, con funzione adesiva, e praline di anice e zucchero incastonate; rosa o azzurre a seconda del sesso del nascituro, le nostre sono metà rosa e metà azzurre. Terribili, ne mangio mezza per paura di essere linciato (dopo la storia del cordone ombelicale, temo di essere stato oramai segnalato), e l’affamata Aria si occupa personalmente dello smaltimento dell’altra metà.
Rivediamo i bimbi, puliti e pronti per la prima notte in incubatrice, poi apro la poltrona letto e dormo profondamente. Pure troppo, dal momento che Aria non dorme benissimo quella notte.
In realtà non riuscirei a dormire comunque, a causa dell’adrenalina direi, visto che tutti i dolori sono terminati con il parto.
Il giorno seguente, la neo mamma viene spostata in una stanza adiacente, più piccola e priva della poltrona per il partner, solo per essere tenuta sotto controllo per verificare che non ci siano complicazioni.
Passiamo le tre settimane seguenti tra casa e l’ospedale: la mattina presto e la sera attorno alle 18 ci rechiamo presso la neonatologia dell’ospedale Sud, per coccolare e prenderci cura dei bimbi. A volte passiamo un’ora con i bimbi svestiti adagiati sul nostro petto. Lo chiamano buidelen e significa letteralmente “marsupiare” e consente un contatto pelle – pelle tra bimbo e genitore, garantendogli tanto calore e soprattutto la famosa Vitamina L, come ci dicevano le infermiere: L come Liefde o, in inglese, Love.
All’inizio di maggio arriva finalmente il grande giorno: tutti pronti per le dimissioni e per vedere finalmente la casa, sistemata per accogliere i bimbi.
Fissata la data delle dimissioni, la sera prima Aria viene invitata a passare la notte in ospedale, per ricevere le ultime “dritte” e per fare una prova sul campo: dal tramonto all’alba sola con i bambini.
Io rimango in ospedale finché possibile, attorno alle 21, poi lascio i 3 ad affrontare la notte. Mentre io mi godo una lunga e rinvigorente dormita, l’ultima vera dormita per un po’ di tempo, Aria non fa lo stesso in ospedale. I bambini, abituati a dormire ognuno nel suo lettino, quella notte vengono sistemati in un lettino unico, messo accanto a quello di Aria. I due iniziano presto ad agitarsi e per gran parte della notte urlano a squarciagola. Un vero test di resistenza: privazione del sonno, urla tipo macello, nessuna assistenza da parte del partner e l’invito a chiamare meno possibile le infermiere in aiuto.
D’accordo prova sul campo, ma non poter chiamare nessuno lo trovo sadico; dico all’infermiera che a casa non sono sola, ma lei replica che un giorno o l’altro potrebbe capitare di essere sola coi bimbi e che quindi è meglio ‘fare allenamento’. In effetti, credo di aver capito che non possono morire per il troppo pianto: c’è qualcosa che li blocca (fortunatamente!) prima di smettere di respirare. Non riesco a calmare Lorenzo né Mila per minuti per me interminabili e sono sicura che le infermiere notturne mi sentano, ma non viene davvero nessuno ad aiutarmi. Dormo pochissimo e male e vado nel panico non so quante volte in una notte: in una volta sola un anticipo di quello che sarà poi.
Secondo me la stanza è allestita tipo casa del Grande Fratello e da un ipotetico centro regia qualcuno osserva la neo mamma alle prese con le due piccole pesti: se i 3 arriveranno vivi e assennati alla mattina, i bambini saranno dimessi e affidati a noi. Aria trattiene sia gli istinti omicidi, che quelli suicidi e la prova è brillantemente superata.
La mattina seguente nonno Ferru passa a prendermi col camper VW e, dopo averlo caricato con pannolini, asciugamani e ovetti, andiamo a recuperare Aria, Mila e Lorenzo. Salutiamo le infermiere in turno quella mattina, regalando loro un’ottima colomba portataci dall’Italia.
Dieci minuti di strada e siamo a casa con i nostri bambini.
In Olanda la madre viene dimessa, in assenza di complicazioni, dopo 2 notti in ospedale.
Il giorno seguente arriva a casa una puericultrice (kraamzorgster), che ha il compito di aiutare mamma e bambino a fare i primi passi insieme a casa: una sorta di tutorial dal vivo, 5-8 ore al giorno per 5-7 giorni. La puericultrice, oltre ad aiutare la mamma col bambino, si occupa anche di far le pulizie, la spesa e, volendo, prepara anche da mangiare.
Se la mamma o il bambino, però, vengono trattenuti in ospedale per un periodo più lungo, il servizio base di puericultrice viene somministrato in via ridotta o, in caso di degenza superiore ai 5-7 giorni, se ne perde il diritto del tutto.
Qualora invece, come nel nostro caso, viene sottoscritta un’assicurazione sanitaria speciale per gravidanza e parto (ogni anno, in gennaio, è possibile cambiare la propria assicurazione e/o scegliere un pacchetto specifico per le proprie esigenze quali dentista, fisioterapista, ecc.), si ha diritto a un periodo di kraamzorg extra, della durata di 25 ore distribuite su 5 giorni.
Se prima del parto Aria era terrorizzata (confermo) all’idea che qualcuno stesse per così tanto tempo al giorno in casa nostra in un momento così delicato, già dall’arrivo di Helen e Simone, puericultrice e apprendista puericultrice, aveva cambiato idea. La mole di lavoro è subito risultata essere abominevole, mentre le energie scendevano a vista d’occhio. Simone ed Helen ci hanno insegnato le cose che ancora non ci erano state fatte vedere in neonatologia, adattando la teoria agli spazi e ai materiali in nostro possesso.
Le ho soprannominate ‘i miei angeli’! Si sono amorevolmente e ruspantemente (Helen e Simone sono decisamente diverse tra loro) prese cura di me, dei piccoli e anche della casa. Nonostante la piacevolezza della loro compagnia e l’aiuto, il 4°-5° giorno si sono rivelati un po’ pesanti: la presenza di ‘estranei’ alla famiglia appena formatasi a casa si sente, eccome!
Pochi giorni dopo la nascita, i miei cari genitori hanno attraversato l’Europa in macchina per una 3 giorni a conoscere i nipotini. Grazie a internet, tra videochiamate e foto condivise, si sentono meno i 1400km che ci dividono, ma altra cosa è poter vedere da vicino i due nuovi arrivati.
Mia madre è tornata anche a inizio maggio, quando i bimbi sono arrivati a casa, per fermarsi una decina di giorni, dandoci una mano nei lavori in casa, durante le poppate e in cucina, e ritornerà assieme alla super nonna bis, il prossimo mese.
Successivamente è stata la volta della super cugina Chiara, che di lavoro fa la puericultrice; venuta per 5 giorni, si è aggiudicata volontariamente tutte le poppate notturne, oltre a darci parecchie dritte sui pupi e la loro alimentazione.
Per non parlare del supporto pratico e psicologico che ci hanno dato; e soprattutto delle ore di sonno guadagnate! Ancora grazie, grazie grazie!
Ora tutti sono tornati alle loro abitazioni e occupazioni, le notti a volte sono frustranti e interminabili ma pian piano noi ci abituiamo a loro e loro si abituano a noi.
Mentre scrivo Lorenzo ha superato quota 4kg e Mila i 3.5kg, siamo stati al Consultatie Bureau, consultorio del rione che ci assisterà per visite, vaccini, domande fino a quando i bimbi avranno 4 anni di età. Qualora ci fossero problemi di salute, il Consultorio ci indirizzerà al medico di base di Aria (i bimbi prendono gratuitamente l’assicurazione e il medico di base del genitore che ha la migliore assicurazione sanitaria), o all’ospedale.
Mi stupisce ancora che i bambini non vengano seguiti da un pediatra sin dalla nascita ma da una serie di visite di controllo del consultorio, però funziona così per migliaia e migliaia di bambini da anni, quindi confido che sia solamente un modo diverso di concepire la forma della sanità pediatrica.
|Ste| & |Aria|