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il team raddoppia (seconda parte)

continua da qui, sempre con la partecipazione di Aria, in corsivo.

Alle 21 entrano 7-8 persone nella stanza, correndo. Guardano l’infermiera, che deve averli chiamati senza che ce ne accorgessimo, la quale annuncia loro la prossimità dell’evento.
Capisco solo in quel momento che mancano davvero poche manciate di minuti alla nascita dei miei figli, ma non faccio in tempo a realizzare la cosa perché vengo interrotto da un’altra serie di contrazioni e urla. Le contrazioni sono sempre più vicine tra loro e la ginecologa parla ad Aria, chiedendole di concentrarsi su di lei da quel momento alla fine del parto. L’unico uomo è il pediatra, che si mette in un angolo della stanza, sistema il suo lettino di rianimazione per neonati, pieno di fili per monitorare i piccoli pazienti, un mini defibrillatore, due bombole di ossigeno; rimane in attesa. Le altre persone entrate nella stanza sono le più varie, qualche infermiera, qualche ostetrica, assistenti e pure una stagista, così tante che qualcuna non ha un gran da fare e mi chiede dove siano macchina fotografica e telecamera per immortalare i bambini dal loro primo secondo di vita. Io rimango un po’ basito e declino l’offerta, rassicurandole sul fatto che mi occuperò dell’aspetto mediatico solo dopo che sarà tutto finito, o meglio iniziato a meraviglia.
La ginecologa aiuta Aria guidandola nella respirazione ed entrambi iniziamo a respirare come partorienti.

Respiriamo tutti (chi sul letto chi accanto) come delle partorienti, ma il dolore lo sento solamente io. Mi dicono di spingere e tenere le gambe piegate con le braccia, ma ogni volta che lo faccio, la gamba dell’ostetrica alla mia destra poggia sul letto e trattiene il cavo del sensore del battito cardiaco che mi trattiene il polpastrello della mano destra, rendendomi ancora più difficile l’operazione. Sono stordita dal dolore delle contrazioni ma continuo a sentirlo e dichiaro a Ste che non ce la posso fare, che fa troppo male! Non ho nemmeno la forza di ribattere qualcosa quando mi vietano di urlare (dal dolore)! Riesco solo a pensare che non vogliano spaventare le partorienti nelle altre stanze (solo poi mi chiariranno che serviva a non disperdere energie necessarie per le spinte). Aspetto il momento di svenire, perché con tutto il dolore che sto sopportando, non riuscirò umanamente a sentirne di più. E per la miseria, perché non ho seguito un corso sulla respirazione?!? Avevo trovato qualcosa online e avevo anche fatto degli esercizi, ma nulla sulla respirazione in sé.

A breve è il momento della nascita, e mi ritrovo a tendere gli addominali rumorosamente ogni volta che Aria spinge, come questo potesse esserle d’aiuto.

Pochi minuti dopo nasce Lorenzo. Mentre Aria si contorce (e respira, un po’ piange, un po’ ride), una delle infermiere mi chiede, porgendomi delle forbici dalla forma strana, di tagliare il cordone ombelicale. Appena riesco a capire cosa voglia dirmi, rifiuto cortesemente. Questa guarda la collega stupita, riformulando la domanda ma con la stessa richiesta. Per un attimo credo di aver quasi turbato la loro sensibilità, penso che forse nella loro cultura sia naturale che il padre si occupi di tagliare il cordone, quasi come tagliare il nastro a un’inaugurazione. In realtà non riesco nemmeno a muovermi e tra una spinta e l’altra declino con più vigore la loro proposta, chiedendo solo di fare solo ed esclusivamente in modo che tutto vada per il meglio per tutti e 3, fino ad allora possiamo rinunciare a riti e foto.

Subito dopo l’infermiera alla mia sinistra sale con una gamba su una sedia e una sul letto e inizia a premermi la pancia con le mani. Con un fil di voce le dico che mi sta facendo male (non le ho detto nulla quando mettendomi l’ago nella vena del polso per attaccarci la flebo ha fatto uno spargimento di sangue che quasi quasi mi ci voleva una trasfusione!). Lei continua, imperterrita, e mi informa bruscamente che mi sta aiutando a far nascere mia figlia. Taccio e sopporto (mi verrà spiegato poi che nei parti gemellari, c’è sempre la possibilità che, nato il primo, è possibile che il secondo si sposti e cambi posizione rendendo le cose molto più complicate).

Dieci minuti più tardi nasce Mila.

Entrambi respirano da soli e piangono prima di raggiungere il lettino del pediatra, che li sottopone ai test di Apgar, dando loro soltanto una spruzzata di ossigeno, una “botta de vita” e via. Il test ha esito positivo ed entrambi ottengono 9/10 su 10. Dovranno rimanere in neonatologia per almeno 3 settimane, ma stanno bene e questo è l’importante. Ancor prima di farceli rivedere, un’infermiera ci porta le tradizionali fette biscottate farcite, le beschuiten met muisjes (si veda il post a riguardo): fetta biscottata, generoso strato di margarina, con funzione adesiva, e praline di anice e zucchero incastonate; rosa o azzurre a seconda del sesso del nascituro, le nostre sono metà rosa e metà azzurre. Terribili, ne mangio mezza per paura di essere linciato (dopo la storia del cordone ombelicale, temo di essere stato oramai segnalato), e l’affamata Aria si occupa personalmente dello smaltimento dell’altra metà.
Rivediamo i bimbi, puliti e pronti per la prima notte in incubatrice, poi apro la poltrona letto e dormo profondamente. Pure troppo, dal momento che Aria non dorme benissimo quella notte.

In realtà non riuscirei a dormire comunque, a causa dell’adrenalina direi, visto che tutti i dolori sono terminati con il parto
.

Il giorno seguente, la neo mamma viene spostata in una stanza adiacente, più piccola e priva della poltrona per il partner, solo per essere tenuta sotto controllo per verificare che non ci siano complicazioni.

Passiamo le tre settimane seguenti tra casa e l’ospedale: la mattina presto e la sera attorno alle 18 ci rechiamo presso la neonatologia dell’ospedale Sud, per coccolare e prenderci cura dei bimbi. A volte passiamo un’ora con i bimbi svestiti adagiati sul nostro petto. Lo chiamano buidelen e significa letteralmente “marsupiare” e consente un contatto pelle – pelle tra bimbo e genitore, garantendogli tanto calore e soprattutto la famosa Vitamina L, come ci dicevano le infermiere: L come Liefde o, in inglese, Love.

All’inizio di maggio arriva finalmente il grande giorno: tutti pronti per le dimissioni e per vedere finalmente la casa, sistemata per accogliere i bimbi.
Fissata la data delle dimissioni, la sera prima Aria viene invitata a passare la notte in ospedale, per ricevere le ultime “dritte” e per fare una prova sul campo: dal tramonto all’alba sola con i bambini.

Io rimango in ospedale finché possibile, attorno alle 21, poi lascio i 3 ad affrontare la notte. Mentre io mi godo una lunga e rinvigorente dormita, l’ultima vera dormita per un po’ di tempo, Aria non fa lo stesso in ospedale. I bambini, abituati a dormire ognuno nel suo lettino, quella notte vengono sistemati in un lettino unico, messo accanto a quello di Aria. I due iniziano presto ad agitarsi e per gran parte della notte urlano a squarciagola. Un vero test di resistenza: privazione del sonno, urla tipo macello, nessuna assistenza da parte del partner e l’invito a chiamare meno possibile le infermiere in aiuto.

D’accordo prova sul campo, ma non poter chiamare nessuno lo trovo sadico; dico all’infermiera che a casa non sono sola, ma lei replica che un giorno o l’altro potrebbe capitare di essere sola coi bimbi e che quindi è meglio ‘fare allenamento’. In effetti, credo di aver capito che non possono morire per il troppo pianto: c’è qualcosa che li blocca (fortunatamente!) prima di smettere di respirare. Non riesco a calmare Lorenzo né Mila per minuti per me interminabili e sono sicura che le infermiere notturne mi sentano, ma non viene davvero nessuno ad aiutarmi. Dormo pochissimo e male e vado nel panico non so quante volte in una notte: in una volta sola un anticipo di quello che sarà poi.

Secondo me la stanza è allestita tipo casa del Grande Fratello e da un ipotetico centro regia qualcuno osserva la neo mamma alle prese con le due piccole pesti: se i 3 arriveranno vivi e assennati alla mattina, i bambini saranno dimessi e affidati a noi. Aria trattiene sia gli istinti omicidi, che quelli suicidi e la prova è brillantemente superata.
La mattina seguente nonno Ferru passa a prendermi col camper VW e, dopo averlo caricato con pannolini, asciugamani e ovetti, andiamo a recuperare Aria, Mila e Lorenzo. Salutiamo le infermiere in turno quella mattina, regalando loro un’ottima colomba portataci dall’Italia.

Dieci minuti di strada e siamo a casa con i nostri bambini.

 

In Olanda la madre viene dimessa, in assenza di complicazioni, dopo 2 notti in ospedale.
Il giorno seguente arriva a casa una puericultrice (kraamzorgster), che ha il compito di aiutare mamma e bambino a fare i primi passi insieme a casa: una sorta di tutorial dal vivo, 5-8 ore al giorno per 5-7 giorni. La puericultrice, oltre ad aiutare la mamma col bambino, si occupa anche di far le pulizie, la spesa e, volendo, prepara anche da mangiare.
Se la mamma o il bambino, però, vengono trattenuti in ospedale per un periodo più lungo, il servizio base di puericultrice viene somministrato in via ridotta o, in caso di degenza superiore ai 5-7 giorni, se ne perde il diritto del tutto.
Qualora invece, come nel nostro caso, viene sottoscritta un’assicurazione sanitaria speciale per gravidanza e parto (ogni anno, in gennaio, è possibile cambiare la propria assicurazione e/o scegliere un pacchetto specifico per le proprie esigenze quali dentista, fisioterapista, ecc.), si ha diritto a un periodo di kraamzorg extra, della durata di 25 ore distribuite su 5 giorni.

Se prima del parto Aria era terrorizzata (confermo) all’idea che qualcuno stesse per così tanto tempo al giorno in casa nostra in un momento così delicato, già dall’arrivo di Helen e Simone, puericultrice e apprendista puericultrice, aveva cambiato idea. La mole di lavoro è subito risultata essere abominevole, mentre le energie scendevano a vista d’occhio. Simone ed Helen ci hanno insegnato le cose che ancora non ci erano state fatte vedere in neonatologia, adattando la teoria agli spazi e ai materiali in nostro possesso.
Le ho soprannominate ‘i miei angeli’! Si sono amorevolmente e ruspantemente (Helen e Simone sono decisamente diverse tra loro) prese cura di me, dei piccoli e anche della casa. Nonostante la piacevolezza della loro compagnia e l’aiuto, il 4°-5° giorno si sono rivelati un po’ pesanti: la presenza di ‘estranei’ alla famiglia appena formatasi a casa si sente, eccome!

Pochi giorni dopo la nascita, i miei cari genitori hanno attraversato l’Europa in macchina per una 3 giorni a conoscere i nipotini. Grazie a internet, tra videochiamate e foto condivise, si sentono meno i 1400km che ci dividono, ma altra cosa è poter vedere da vicino i due nuovi arrivati.
Mia madre è tornata anche a inizio maggio, quando i bimbi sono arrivati a casa, per fermarsi una decina di giorni, dandoci una mano nei lavori in casa, durante le poppate e in cucina, e ritornerà assieme alla super nonna bis, il prossimo mese.
Successivamente è stata la volta della super cugina Chiara, che di lavoro fa la puericultrice; venuta per 5 giorni, si è aggiudicata volontariamente tutte le poppate notturne, oltre a darci parecchie dritte sui pupi e la loro alimentazione.
Per non parlare del supporto pratico e psicologico che ci hanno dato; e soprattutto delle ore di sonno guadagnate! Ancora grazie, grazie grazie!

Ora tutti sono tornati alle loro abitazioni e occupazioni, le notti a volte sono frustranti e interminabili ma pian piano noi ci abituiamo a loro e loro si abituano a noi.
Mentre scrivo Lorenzo ha superato quota 4kg e Mila i 3.5kg, siamo stati al Consultatie Bureau, consultorio del rione che ci assisterà per visite, vaccini, domande fino a quando i bimbi avranno 4 anni di età. Qualora ci fossero problemi di salute, il Consultorio ci indirizzerà al medico di base di Aria (i bimbi prendono gratuitamente l’assicurazione e il medico di base del genitore che ha la migliore assicurazione sanitaria), o all’ospedale.
Mi stupisce ancora che i bambini non vengano seguiti da un pediatra sin dalla nascita ma da una serie di visite di controllo del consultorio, però funziona così per migliaia e migliaia di bambini da anni, quindi confido che sia solamente un modo diverso di concepire la forma della sanità pediatrica.

|Ste| & |Aria|

 

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il team raddoppia (prima parte)

Perse le speranze di rivedere un nuovo post? Non preoccupatevi, questo è Post con la P maiuscola, così lungo che lo pubblicherò in due parti, cercando di non annoiare.
Con la partecipazione di Aria, in corsivo.

Come timidamente anticipato nel mio ultimo articolo, c’era una grossissima novità in arrivo. Per riservatezza e scaramanzia non se n’è mai parlato, ma ora posso svelarla e da sola spiegherà il motivo di una così prolungata assenza.

A ottobre dello scorso anno un test di gravidanza positivo ha iniziato a cambiare, nuovamente, le nostre vite.

Subito sono iniziati i contatti con le verlooskundigen, ostetriche.
In Olanda una donna incinta non incontra il ginecologo fino al parto, a meno che non ci siano motivi medici particolari che richiedano una visita specialistica. Ci sono le ostetriche, che seguono le future madri passo dopo passo durante le 40 settimane di gravidanza, riunite a gruppi di 5 – 6, in piccoli ambulatori. Dei piccoli edifici nei quartieri residenziali, dove si va per fare domande e per organizzare le ecografie e gli esami di rito.
Ne abbiamo trovato uno a meno di 10 minuti di bici da casa, siamo andati lì e Aria è stata iscritta dopo una serie di domande sulla sua storia personale e clinica; qualche domanda l’hanno fatta anche a me.
Abbiamo fissato l’appuntamento successivo dopo la prima ecografia, ma non le abbiamo mai più riviste.

ecografiaA novembre, in occasione della prima ecografia, avvenuta in un piccolo ambulatorio privato situato anch’esso in mezzo alle villette a schiera sul canale del verdissimo Kleverpark, abbiamo visto per la prima volta dentro alla pancia crescente di Aria: un’emozione indescrivibile. Mentre eravamo lì, Aria distesa sul lettino ed io seduto al suo fianco, mi è sembrato di vedere qualcosa di strano sullo schermo ma, non conoscendo lo strumento e sopraffatto dall’emozione di vedere per la prima volta un’ecografia “moderna” (l’unica che ricordavo era la mia, incollata alla prima pagina del mio primo album di foto: anno 1980, due croci in mezzo a un indefinito sfondo nero e grigio; ero oggettivamente visibile solo nella didascalia sottostante che citava il mio nome), non ho detto nulla. Ho scoperto che non ero io a vederci doppio, né lo strumento ad avere problemi, quando l’infermiera ci ha detto che i bambini erano effettivamente due, molto probabilmente gemelli eterozigoti, ognuno nella sua sacca, c’è stato un attimo di sgomento misto alla felicità. Aria chiedeva incredula di verificare meglio, ma una foto in cui comparivano contemporaneamente due feti ben distinti e separati toglieva ogni dubbio… e il fiato.
Ricordo l’abbraccio che ci siamo dati nel giardino appena usciti: un’impresa abominevole della quale eravamo solo all’inizio, più di un pensiero a rendere frenetiche le nostre giornate da qui a non si sa quando, ma quanta gioia.
Ad essere sinceri, non credo di essere riuscita a realizzare effettivamente che aspettavamo dei gemelli se non qualche mese dopo, perché poche settimane prima  dell’ecografia avevo iniziato a sentire i fastidiosi sintomi della gravidanza; non avevo la testa per pensare ad altro che a tentare di stare meglio.

Un parto gemellare è uno dei motivi medici che fa sì che una gravidanza venga seguita direttamente dall’ospedale e non dalle ostetriche; siamo quindi stati affidati al Kennemer Gasthuis di Haarlem, ospedale con due sedi piuttosto grandi all’estremo Nord e a quello Sud della città. Ogni due settimane circa, ci siamo recati in uno dei due ospedali per le ecografie e le visite di controllo con i ginecologi. Un po’ prendendo ore di permesso dal lavoro e un po’ grazie al fatto che adesso lavoro molto meno e da casa, sono riuscito ad accompagnare Aria in ogni singolo passo di questa emozionante (spaventosa, energizzante, snervante, appagante…) avventura.

Nei 3 mesi successivi Aria non se l’è passata benissimo causa nausee: il livello di hCG, ormone della gravidanza, è infatti molto più alto in una gravidanza gemellare, al punto da portarla a vomitare per 4-5 volte al giorno. Io ero convinta di averne contate di più un giorno, ma forse era solo la stanchezza portata dal costante vomito. Ricordo che la sera, quando capitava che Aria rientrasse dal lavoro dopo di me, appena io o Ferru sentivamo il rumore delle chiavi nella serratura, aprivamo tutte le porte che separavano Aria dal bagno più vicino e lei correva con una mano davanti alla bocca, lasciando uscire un soffocato “ciao” dal naso, prima di chiudersi in bagno e abbracciare il water. I suoi gusti alimentari cambiavano dalla mattina alla sera. A volte una lista della spesa, stilata per ovvie ragioni dalla gestante, aveva ingredienti che diventavano obsoleti e indesiderati proprio mentre stavo facendo la spesa: non succedeva spesso, ma a scanso di equivoci ho iniziato a conservare la lista della spesa come prova anche dopo essere rincasato.

Dal quarto mese a metà aprile tutto bene, eccezione fatta per l’ovvio peso straordinario da portare in giro, in continua crescita.
Mi sentivo una balenottera! Nei primi 3 mesi non ero ingrassata tanto (forse anche perché, causa nausee e vomito, non sentivo molto appetito), ma non appena ho smesso di vomitare quotidianamente, anche l’appetito è ripreso e ho ricominciato ad apprezzare i cibi che mi piacevano da una vita (kebab a parte.. ancora non ci siamo ritrovati). Insieme all’appetito ho preso anche diversi chili, perlopiù concentrati nella pancia.
Avevo smesso alla fine dell’anno scorso di andare in bici perché sentivo un piccolo ma fastidiosissimo dolore tutte le volte che scendevo dalla sella; in poco tempo avevo iniziato anche a camminare molto lentamente. Insomma, molto appesantita e rallentata praticamente in tutto. E Ste e mio padre disponibili ad accontentare tutti i miei desideri!
In caso di gravidanza a rischio la maternità inizia tra la 24esima e la 26esima settimana e allo scadere della 25esima Aria ha iniziato a rimanere a casa. La nascita era prevista per la seconda metà di maggio, i tempi iniziavano a farsi stretti e noi ci affrettavamo a completare la cameretta, grazie anche ai tanti scatoloni pieni di beni di prima necessità per neonati, donati da tanti amici con figli ormai più cresciuti e trasportati da Ferru fin qui.

A inizio aprile abbiamo partecipato anche a due serate informative, in un auditorium dell’ospedale, dai titoli: “allattamento al seno” e “partorire ad Haarlem”. Nonostante ciò, non ci sentivamo così pronti.
E, diciamocela tutta, eravamo spaventati alla sola idea di diventare genitori, con le migliaia di domande comuni che ci affollavano la mente..

Un giovedì pomeriggio, mentre chiacchiero con Diego al piano superiore, vengo chiamato da Aria che ci chiede di scendere per il caffè.
Con apparente tranquillità, Aria mi dice di avere perdite piuttosto abbondanti, ma aggiunge che forse basta mettersi sul divano perché le perdite si fermino, dice di averlo provato e “sembra che funzioni”. Ma la soluzione di Aria, basata solo sulla forza di gravità, non mi convince (lei era la prima a non esserne convinta, sotto sotto). Cerco di rassicurarci dicendo che sicuramente non è niente, ma è meglio chiamare l’ospedale per scambiare due parole, mal che vada si parlerà del tempo. La risposta dell’ospedale è un po’ come la mia: sicuramente non è niente, ma passi di qui lo stesso che diamo un’occhiata.
Sono uscita di casa solo con la borsetta, sperando di tornare un paio d’ore più tardi, ma dentro di me ho capito che c’è qualcosa che non va, anche se non sento alcun dolore particolare se non qualcosa alla schiena.
Arrivati in ospedale meno di mezz’ora più tardi grazie al pronto intervento di Ferru col suo camper, ci accoglie una donna sulla quarantina dai modi piuttosto bruschi, o forse lo erano in modo particolare per noi così coinvolti, che fa accomodare Aria in una stanza dove si attendono i risultati delle analisi per sapere se le perdite sono liquido amniotico, le famose acque che si rompono alla fine di una gravidanza, o meno. Abbiamo chiesto di parlare in inglese per capire ogni singola parola, così le infermiere, che a questo punto sono 3, parlano tra di loro in olandese e con noi in inglese. A noi dicono “non sappiamo nulla, aspettiamo di vedere le analisi”, ma tra di loro commentano pochi istanti più tardi, in olandese: “senti l’odore, si sono sicuramente rotte le acque”. Fingo di non capire e caparbiamente cerco conforto nell’infermiera scortese, le dico “33 settimane è troppo presto..”, sperando la donna si lasci andare a un elenco di casi in cui bambini hanno visto la luce sanissimi nonostante periodi ben più brevi in utero e cose di questo genere, ma invece ricevo un “sì, è troppo presto.“. Va bene la schiettezza, di cui gli olandesi si vantano di essere campioni, ma questa sfiorava il sadismo.

Arrivano i risultati degli esami e la rottura delle acque diventa ufficiale.
A due ore dal nostro arrivo all’ospedale, ci portano in una stanza piuttosto ampia, come una camera d’albergo con angolo cottura, bagno con doccia e comoda poltrona. Solo il pavimento, tutto in piastrelle, e il letto, singolo e con le ruote, la rendono inadatta a un hotel. L’infermiera scortese, che si dimostrerà molto affabile nei giorni successivi, lascia il posto a un’infermiera prossima alla pensione, dal taglio di capelli corto e brizzolato, più sgraziata ma più simpatica della prima. Aria viene monitorata con il cardiotocografo, strumento che non abbiamo mai visto, ma di cui capiamo presto il funzionamento; ci sono 3 cifre: a sinistra si vede la  frequenza cardiaca di Mila, a destra quella di Lorenzo e in mezzo la frequenza delle contrazioni. Le quali iniziano a farsi sentire, ma si prova comunque a rimandare la nascita, al fine di dare tempo prezioso ai nascituri per prepararsi a vedere la luce. Arriva anche l’iniezione di cortisone per agevolare lo sviluppo dei polmoni dei nascituri. Passano lunghissimi minuti, scanditi dalle contrazioni che aumentano, io cerco di confortare Aria avvisandola quando vedo che la frequenza sta scendendo, lasciandole qualche attimo per respirare. Ad un certo punto l’infermiera offre degli antidolorifici ad Aria, che accetta senza riserve, all-in! Per gli antidolorifici – avverte lei – bisogna però prima fare un tracciato dello stato dei bambini, al fine di capire, in base alla loro vivacità, se sia opportuno utilizzare un antidolorifico piuttosto che un altro.

L’attesa per una risposta si conclude con un “mi dispiace, è troppo tardi per qualsiasi anestesia”.
Dico io, perché mi illudi che c’è la possibilità di avere un antidolorifico, se poi è molto probabile che non si possa usarlo?!? Piuttosto informati prima e poi chiedi.
Uno dei miei incubi, partorire senza antidolorifici, si sta materializzando.
Mi consolo pensando che quando sentirò troppo dolore, sverrò naturalmente; so che funziona così. Eppure finora non ho sentito carezze, ma stanchezza a parte, credo di non avere un muscolo rilassato e sono anche troppo sveglia!

Aria urla un pochino di più.

 

[Continua qui]

 

|Ste| |Aria|

 

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Elezioni comunali 2014

Nei Paesi Bassi, ogni 4 anni si tengono le elezioni comunali (gemeenteraden); dato che quest’anno sarebbero coincise con il Mercoledì delle Ceneri (lo scorso 5 marzo), sono state posticipate al 19 marzo.
Nella stessa data nei Comuni più grandi si vota anche per le singole municipalità.

Quattro anni fa non andai a votare perché mi sentivo ancora troppo ‘straniera’ per sapere chi e quale partito avrebbe fatto davvero il bene della città; quest’anno, però, ho deciso di sentirmi più haarlemese e di votare per la mia città: in definitiva ormai posso considerarla tale, dopo 5 anni passati qui e l’acquisto della casa lo scorso anno.
Non parlando ancora fluentemente la lingua (lo so, ormai dovrei tenere lezioni di italiano in olandese..), ho dovuto documentarmi sulle modalità di voto e sui diversi punti di forza dei partiti che si erano presentati (mi è molto più facile leggere l’olandese che parlarlo).
Sapevo che le elezioni si sarebbero tenute in un unico giorno e un po’ ovunque (scuole, centri di ritrovo dei quartieri, stazioni NS, ogni locale pubblico praticamente). Nella parte anteriore del foglio esplicativo, del tutto simile alla lista dei candidati, che ci è arrivato a casa, erano indicati tutti i posti della città dove si poteva andare a votare dalle 7:30 alle 21:00.
Tra i vari siti da cui ho preso le informazioni, ho trovato che per legge almeno il 25% dei seggi deve essere abilitato ai disabili.

Circa un paio di settimane prima, ad ogni elettore è stato consegnato al proprio indirizzo anche lo stempas (il documento personale di voto), su cui era già presente la delega: se qualcuno avesse voluto mandare qualcun altro a votare al posto suo, avrebbe solo dovuto compilare i dati del delegato sullo stempas e lasciare che questo si presentasse con il proprio documento di identità presso il seggio.
La questione rimaneva a chi dare il voto.
Fortunatamente a Ste è stato consigliato un sito per verificare le posizioni dei vari partiti riguardo a questioni inerenti economia, cultura, ambiente, assistenza sociale nell’intera città e in alcune aree specifiche. Il sito proponeva 30 quesiti a cui rispondere, dopo aver scelto la città ed il quartiere di appartenenza, ed alla fine indicava in un semplice grafico la posizione dell’elettore rispetto ai singoli partiti.
Inoltre, permetteva anche di verificare cosa avesse risposto il singolo partito riguardo ad un quesito in particolare.
Ho risposto a tutte le domande e, con un po’ di sorpresa, mi sono ritrovata molto vicina all’Ouderenpartij, ovvero al partito degli anziani.
Ovviamente, il sito dava un’indicazione di voto ed io, non considerandomi poi così anziana, ho deciso di non seguirla.

Il giorno successivo alle elezioni, i vari risultati erano già noti: sia ad Amsterdam che ad Haarlem hanno vinto i D66, che sarebbero i democratici di centro.
Dopo una lunga tradizione di sinistra in entrambe le città, hanno quindi vinto quelli di centro.
I Paesi Bassi ci hanno già abituato a cambiamenti repentini di tradizioni politiche; anzi, per dirla meglio, gli elettori sono abituati a cambiare i propri governanti se questi non soddisfano le promesse per cui sono stati votati.

|Aria|

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De meeuwen zijn terug

Ci risiamo.
Probabilmente grazie al clima che si mostra finalmente estivo (massime sui 25°C e più, sole per giornate intere e notti limpide e fresche), e certamente a causa della mancanza di contenitori sotterranei dell’immondizia nell’intero quartiere, de meeuwen zijn terug (i gabbiani sono tornati)!

Dopo l’allestimento dei contenitori sotterranei nel quartiere dove abitavamo prima, abbiamo effettivamente notato una diminuzione della presenza dei pennuti, che personalmente non ho mai trovato simpatici e, già ben prima di vedere Finding Nemo, nutrivo seri dubbi sulla loro intelligenza.
Dopo un paio di mesi, si vedevano i gabbiani solo volare sopra le case, non scendevano più fino in strada. Che liberazione!

Nel quartiere dove abitiamo ora, la raccolta dell’immondizia avviene porta a porta, indifferenziata e una volta alla settimana; questo fa sì che non appena arriva un po’ di luce la mattina della raccolta, decine di gabbiani atterrino sulle strade e inizino i loro chiassosi banchetti. Quindi, quando esco di casa quella mattina, cerco di evitare questi enormi pennuti, che ora addirittura mi inquietano (la combinazione di stupidità, determinazione e grossezza li rendono animali imprevedibili e pericolosi).
Vuoi a causa del recente caldo estivo, ora la situazione è peggiorata: i gabbiani si ritrovano, quasi ogni giorno, da qualche parte nelle vicinanze, li sento la sera fino alla notte. I rumori (richiami caratteristici a parte) sembrano davvero quelli del ritrovo al parco di giovani ragazzi: schiamazzi, giri dal punto di ritrovo e ritorno.. mancano solo le birre, ma per il resto sembra lo stesso.
Non ho proprio idea di dove sia questo punto di incontro, né perché lo sia diventato. Cos’è successo da qualche settimana che ha scatenato di nuovo i gabbiani?

Forse non è solo un problema localizzato; ho letto in un articolo che anche in alcune località dell’Inghilterra del sud, i gabbiani stanno terrorizzando ed attaccando (in alcuni casi) le persone. Però lì le comunità coinvolte si stanno organizzando per diminuire la crescita dei piccoli pennuti, o addirittura per abbattere gli esemplari adulti che attaccano le persone.

|Aria|

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La stanza da bagno

Verso la fine della scorsa settimana, è venuta a trovarci Anna, una ex collega di Stefano, per un fine settimana lungo.
Come a tutti i visitatori (prima e dopo di lei), le è stato richiesto di portare un po’ di cose dall’Italia ed è arrivata qui consapevole che in qualche modo avrebbe ‘pagato’ la sua permanenza. Prima di partire dall’Italia, ci aveva chiesto di prepararle una lista di desideri culinari e di farle trovare gli ingredienti per realizzarli, così da riempire il suo tempo libero e il nostro congelatore.
Non siamo riusciti a scrivere la lista, né a comprare nulla, ma in compenso abbiamo fatto la spesa insieme dopo aver concordato cosa avremmo desiderato mangiare.
Il tempo è stato abbastanza clemente (sempre dal punto di vista olandese), così abbiamo potuto fare un giretto per lo ZomerMarkt, il mercatino estivo (!) all’aperto che si snoda lungo la principale via del quartiere.

Da tempo abbiamo deciso che è necessario fare dei lavori in casa, nello specifico vorremmo un bagno completo ed uno di servizio, più piccolo.
Dato che conosciamo i nostri limiti, abbiamo chiesto dei preventivi a diversi operai (vista anche la lentezza di reazione del primo a cui ci siamo rivolti).
Durante uno dei sopralluoghi ho scoperto una piccola curiosità. Generalmente il bagno olandese è diviso in 2 stanze distinte (spesso anche su 2 piani diversi): una con il water e un lavandino e l’altra con la doccia. Da quello che ha raccontato uno degli operai, la divisione è dovuta alla privacy. Già, perché il bagno piccolo (quello con il water) è considerato ‘per tutti’, mentre dove si trova la doccia è la stanza da bagno personale.
Non me ne vogliano gli olandesi ‘integralisti’, ma ci sono un paio di cose che vorrei precisare: la prima è che generalmente non lascio entrare in casa sconosciuti per impellenti bisogni fisiologici. La seconda è una riflessione: non essendo diffuso il bidet, non sarebbe più comodo avere almeno un water in ciascun bagno?!
Speriamo che gli operai a cui ci siamo rivolti si muovano in fretta, perché rischiamo di incappare nelle bouwvakantie (letteralmente, vacanze della costruzione): un periodo di circa 3 settimane in cui l’associazione nazionale dei costruttori invita i propri affiliati a chiudere le serrande. Le vacanze si svolgono con tempistiche diverse a seconda della regione e quelle che ci riguardano sono fissate dalla terza settimana di luglio fino alla prima di agosto.
Comprensibile, con questo caldo!

|Aria|

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piccole radici olandesi

verkochtQuattro anni sono passati, sia per il blog, sia per noi due. Quattro anni lontani dal nostro mondo e dalle profonde radici che fin lì avevamo sviluppato. Partiti con pochi soldi in tasca, nessun aggancio, solo le esperienze di un paio di amici a darci un’idea di quello che ci stava attendendo in Olanda. Da un appartamento vacanze di Amsterdam, affittato per rendere più rilassati i primi giorni, ad un hotel sporco ma economico dove abbiamo pernottato per la settima successiva. Poi i primi scontri con la realtà e le regole locali ai quali è seguito il conseguente e provvidenziale spostamento ad Haarlem, città più piccola e meno ricca di opportunità, ma un po’ meno costosa. Haarlem ci ha accolti in maniera strana ma colorita, in una chiesa sconsacrata negli appartamenti della quale sono state scritte le prime pagine di questo blog.
Dopo i tre mesi passati in chiesa, avremmo potuto tornare all’idea iniziale, alla capitale. E invece siamo rimasti ad Haarlem, mentre cercavamo di capire cosa il destino avesse riservato per noi, aiutandolo non poco con tanta forza di volontà. Tra un mese saranno 4 anni nella casa di Haarlem e oramai l’idea della capitale ha lasciato definitivamente il posto al nostro gioiello sullo Spaarne.

E così, come ci eravamo promessi nell’articolo propositi per l’anno nuovo e dopo aver fatto un rapido conto delle spese di affitto sostenute da febbraio 2009 ad oggi, abbiamo deciso di fare il grande passo: un paio di settimane fa abbiamo firmato il preliminare per l’acquisto di una casa nel capoluogo della provincia di Noord Holland.

Non abbiamo proceduto da soli, ma con l’aiuto (profumatamente pagato) di un’agenzia che si occupa di tutti gli aspetti dell’acquisto: dalla contrattazione del prezzo all’atto notarile, passando per la scelta del mutuo, del perito e dell’interprete (obbligatorio se la conoscenza dell’olandese non è perfetta).

Di sicuro questo è un ottimo momento per acquistare casa, dati i prezzi ai minimi storici. Sfruttando il momento, siamo effettivamente riusciti ad abbassare il prezzo dell’immobile di quasi il 15% in fase di trattativa pre-acquisto.
Una casa tipica olandese, villetta a schiera con soggiorno spazioso e luminoso, giardinetto e tre camere da letto. Orientamento delle finestre principali a Sud, per sfruttare ogni raggio di sole che volesse affacciarsi ai vetri dei serramenti.

La scelta della giusta casa è partita dal quartiere: bella zona residenziale, vicina alla stazione e ad una rinomata via di negozi. Una volta trovata la zona migliore, Aria ha visionato su Funda.nl (principale sito per acquisti e affitti di immobili in Olanda), le possibilità che il quartiere offriva. È stata quindi stilata una lista di circa 40 case che rispondevano più o meno ai nostri desideri. Durante i weekend abbiamo poi guardato insieme tutte le abitazioni, tramite Funda o le brochure, quando disponibili, ed abbiamo fatto un’ulteriore cernita.

Sebbene la selezione fosse stata severa e puntigliosa, alla fine rimanevano ancora quattro o cinque case papabili, ma un open huis ci ha spinti verso una delle residenze in particolare. L’open huis è una giornata, pubblicizzata da agenzie immobiliari, in cui le case in vendita di un determinato quartiere sono aperte al pubblico. I proprietari di casa sono disponibili per un giorno, solitamente il sabato, dalle 9 alle 17, per ricevere visite di possibili compratori, senza appuntamenti. Così abbiamo conosciuto la coppia che viveva nella casa e ora si è spostata a Zwolle. Dall’aspetto alticcio, un grissino lui, il sacchetto dei grissini lei, ci hanno accompagnato attraverso i piani e le stanze della casa.
L’abitazione ci è piaciuta molto fin da subito e in quell’occasione abbiamo potuto conoscere anche la vera padrona di casa: una gatta diciottenne che si godeva il sole sul videoregistratore caldo in soggiorno, che è tuttora l’unica abitante della casa e lo sarà fino al rogito (quando raggiungerà i “genitori” a Zwolle).

Tra l’altro, non siamo soli nel quartiere, ci sono già tre amici italiani che hanno comperato casa a poche centinaia di metri dalla nostra, cosa che lascia presagire la formazione di una little Italy haarlemese.

Sicuramente abbiamo preso un grosso impegno, che ci accompagnerà per moltissimi anni (il mutuo è trentennale), ma che completa le nostre scelte di vita e conferma la bontà delle nostre decisioni prese al tempo; abbiamo raggiunto l’ennesimo traguardo.
Dopo quattro anni piantiamo piccole radici anche qui al nord, destinate a crescere.

|Ste|

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petizioni sul tappeto rosso

Questo inverno, perlomeno l’ultimo mese e mezzo, è stato piuttosto grigio. Otto gradi, nove gradi, talvolta qualche goccia di pioggia, quel che basta a ridurre la visuale mentre si pedala. Né caldo né freddo.
Contatto con il sole avvenuto in due occasioni negli ultimi 20 giorni.

Ma non mi dilungherò parlando del meteo, sebbene questo sia argomento principe per gli olandesi.

Nei quasi quattro anni di permanenza nella nostra Haarlem, abbiamo visto cambiare molto la città. La zona del centro, tra la stazione e la piazza di Grote Markt, è stata in questi anni sede di una serie continua di cantieri. La stazione è stata rimodernata all’esterno sul lato sud, mentre sono tuttora in corso i lavori sul lato nord.

stationsplein 2008

La vecchia stazione delle corriere (l’immagine a sinistra è tratta da Google Maps, credo scattata nel 2008 o comunque prima del 2009) è stata smantellata: alta prima quasi due piani è ora a livello della strada, parte di una grande piazza. I parcheggi per le biciclette, che prima circondavano la stazione delle corriere e quella dei treni, sono stati rimossi ed è stato creato il famoso parcheggio sotterraneo da 5.500 posti bici, gratuito e coperto. Un centro intermodale dal quale passano migliaia di persone al giorno, dirette ad Amsterdam o in un altro quartiere della città.

stationsplein

stationsplein 2013

Kruisweg, che diventa poi Kruisstraat, collega la stazione e il centro ed è stata oggetto di lavori dal 2010 a fine 2012. Prima percorribile in automobile e bicicletta, è stata ora adibita al transito dei mezzi pubblici sul primo tratto e delle automobili nella seconda parte. Sull’intero percorso, chiamato rode loper (tappeto rosso), le biciclette hanno corsie riservate per entrambe le direzioni di marcia e la precedenza sui tratti in cui il transito è misto auto – bici (un segnale stradale sconosciuto agli italiani chiarisce benissimo chi comanda).

precedenzaBiciIl rode loper è frutto delle petizioni sottoscritte dai ciclisti nel 2008.
Il numero enorme di ciclisti olandesi li rende piuttosto importanti e influenti nelle scelte politiche e soprattutto nell’urbanistica. Internet ed il suo sviluppo notevole nella terra dei mulini a vento ha infine ridotto ancor più le distanze tra i singoli cittadini “a pedali”, unendoli e organizzandoli, quando necessario. Esiste anche un’associazione nazionale dei ciclisti, il Fietsersbond, il cui motto è “andare in bici sicuri, veloci e con piacere”. Gli associati sono più di 35.000 ed il sito è aggiornato con le informazioni che riguardano le due ruote; e non mancano segnalazioni ed articoli di nuove migliorie, così come di eventuali disservizi della rete ciclabile olandese. Il sito merita una visita per il funzionale route planner, valido per raggiungere qualsiasi indirizzo in Olanda, ovviamente a cavallo di una bicicletta.
rodeLoperDolhuys Vista ultimata la rode loper, secondo i progetti di 5 anni fa, i ciclisti di Haarlem ora chiedono di più: il prolungamento del tappeto rosso fino a nord, dividendo il traffico a pedali dal resto del traffico. La petizione è raggiungibile ad un indirizzo internet, dove vengono spiegate tutte le ragioni con disegni esplicativi, si firma inserendo i propri dati e facendo clic, ma con la sensazione che la propria voce possa facilmente essere ascoltata e trasformarsi in un reale progetto che migliori la città.

Davanti al parcheggio e sugli incroci ciclabili vicini alla stazione, alcuni gruppetti di volontari, di tutte le età, distribuiscono volantini e attaccano adesivi per promuovere la petizione. Vinceranno anche stavolta i ciclisti e verrà costruito il ponte sul canale a Kleverpark?

petizioneDolhuys

|Ste|

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Che ne è dei resti?

Nonostante la svolta ‘ciclistica’ olandese verso la fine degli anni ’70 (vedi video sottostante) e il conseguente primato di Stato europeo (apparentemente) meno legato al petrolio, nonostante le loro dimensioni contenute, i Paesi Bassi non si possono definire ecologici né troppo attenti all’ambiente circostante. Inoltre credo rientrino tra i primi Paesi europei più inquinanti; vengono salvati dal vento che, soffiando costantemente e non trovando ostacoli, sparpaglia nel resto d’Europa le emissioni olandesi (vedi articolo).

C’è una sottile differenza tra il rispetto degli spazi – più o meno verdi – comuni e un atteggiamento collettivo profondamente ecologico; lì si trovano la maggioranza degli olandesi.

Più volte mi sono chiesta come funzionasse la raccolta dei rifiuti urbani, non notando contenitori nelle strade per differenziare la spazzatura, né avendo mai visto degli operatori o dei camion impiegati alla raccolta; anzi, una volta vidi un camion adibito alla raccolta di residui differenziati, ma non feci in tempo ad annotarne il nome.
Come sapranno i più affezionati, da poco anche i quartieri di Haarlem sono stati dotati di contenitori sotterranei per la raccolta dei rifiuti indifferenziati delle vicine abitazioni; finora, la raccolta aveva cadenza settimanale e veniva effettuata da giovani e robusti operatori che gettavano i sacchi dai vari punti di raccolta nella parte posteriore del camion che li accompagnava.
Ora, vedremo chi verrà a svuotare i contenitori sotterranei e quando.
Ad Haarlem (a differenza di Amsterdam, da quello che mi dicono, dove i contenitori sono vicini alle abitazioni) i punti di raccolta differenziati – esterni – per plastica, carta e vetro si trovano vicino ai supermercati, o in apposite piazzole comunali.

Altra questione pungente visto l’argomento, sono gli alberi di Natale dismessi.
Per il 4° anno consecutivo, noto questa brutta consuetudine di abbandonare gli alberi (la maggior parte delle volte si tratta di quelli recisi, altre addirittura di quelli in vaso), nei primi giorni dell’anno per strada. Ho dedotto che quelli che li lasciano vicino ai contenitori sotterranei, si aspettino che gli alberi vengano portati via insieme agli altri rifiuti; non so se funzioni, perché vedo ‘dormire’ gli alberi per strada per più qualche giorno.
Cercando in qualche sito, ho scoperto che ogni Comune gestisce a proprio modo la raccolta annuale degli alberi di Natale: per esempio, il Comune di Haarlem organizza due pomeriggi per la raccolta/consegna degli alberi da parte dei ragazzi (fino a 16 anni) in cambio di 0,40€/l’uno; la somma raggiunta viene suddivisa in diversi premi per una lotteria i cui partecipanti sono gli stessi ragazzi.
E cosa se ne fanno i Comuni con tutti gli alberi di Natale dismessi?
Stando al sito del Milieu Centraal (letteralmente la centrale dell’ambiente), un’azienda scientifica che si occupa di ambiente e di ecosostenibilità, gli alberi dismessi non artificiali vengono raccolti e destinati in parte all’incenerimento per produrre energia ed in parte alla produzione di compost e di prodotti per la copertura del terreno e la coltivazione.

|Aria|

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Non si dica che sono in ritardo

Credo di ripetermi nel dire che gli olandesi sono mediamente piuttosto attivi, nel senso letterale del termine: a loro piace andare in giro, mangiare fuori, improvvisarsi tuttofare in casa, scavare per nuove costruzioni, o per effettuare la manutenzione di quello che già c’è, … insomma a loro piace essere attivi, giorno e notte.
Magari la notte trovano più piacevole andare in giro per locali, dove ultimamente è di moda indire tornei di famosi giochi da tavolo sulla cultura generale con squadre di avventori/giocatori.
Amsterdam, come si sa, è una città a parte: c’è un fitto calendario di eventi per ogni stagione, anche notturna nel caso della Museumnacht (letteralmente, la notte dei musei). La prima domenica di novembre i musei cittadini sono aperti dalle 19 alle 02 e organizzano diverse attività appositamente per la nottata.

Tra Haarlem ed Amsterdam si trova un paesino di nome Halfweg (letteralmente, a mezza via), che si sviluppa a sud rispetto ai binari, paralleli alla strada che unisce le due città principali.
Fin dall’inizio del 2010 promuovevano la nuova stazione dei treni di Halfweg che, in effetti, fino a quel momento ne era sprovvisto; i cartelloni informativi datavano l’inaugurazione a giugno 2011.
Ci stupivamo di non vedere progredire i lavori, che all’inizio del 2011 continuavano ad essere fermi alla sola delimitazione del cantiere; in compenso avevano tolto la data dal cartellone informativo.
Dall’inizio di quest’anno i lavori sono cominciati visibilmente e sul cartellone è comparsa un’altra data di consegna: giugno 2012. Man mano che la primavera si avvicinava e i lavori progredivano speditamente, è risultato chiaro che nemmeno stavolta sarebbero stati rispettati i tempi di consegna; così, la data è stata nuovamente cancellata dal cartellone, ma non è stata sosituita con nessun’altra.
Analoga sorte è capitata alla linea nord-sud della metropolitana di Amsterdam. I lavori sono cominciati effettivamente ad aprile del 2003, dopo un’infinita discussione sulla reale fattibilità della mastodontica opera (si tratta di quasi 10 km di percorso, di cui più di 7 sotterranei). All’epoca la data di consegna era prefissata 8 anni più tardi, ma un paio di anni fa l’hanno posticipata al 2017.
Conoscendo la tipica puntualità olandese, immagino che qualcuno si stia mangiando le mani a causa di questi notevoli ritardi.

A mio avviso un po’ in ritardo, considerato lo stato mediamente evoluto dell’Olanda, hanno finalmente iniziato a predisporre i cassonetti sotterranei per la raccolta dell’immondizia anche qui ad Haarlem. Ora siamo ancora alla raccolta dei sacchi in strada, nel nostro quartiere il lunedì mattina: passa un camion con 2 o 3 baldi giovani (spesso ‘canterini’, così che anche i ritardatari abbiano un’ultima possibilità), che gettano i sacchi dentro alla parte posteriore del camion.
L’immondizia è indifferenziata, anche se stanno spuntando dei contentori pubblici per la raccolta della plastica. Per la carta ed il vetro ci sono già, invece, dei contenitori comuni appositi.
Altra stranezza: differenziare l’immondizia qui è una scelta facoltativa, non un’abitudine consolidata.

|Aria|

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non date da mangiare ai gabbiani

I rifiuti, ad Haarlem, vengono raccolti senza distinzione alcuna. Nessun porta a porta del secco o dell’umido, ma un prelievo settimanale dei rifiuti normali e uno dei rifiuti ingombranti.
Mentre la raccolta degli ingombranti è riservata più che altro alla scuola vicina a casa nostra, quella del lunedì mattina ci riguarda personalmente. Ci sono diversi punti di raccolta sulla nostra via, dove la domenica sera si depositano i sacchetti nostri e dei vicini, per essere presi la mattina successiva. Con abile opera di volantinaggio ci hanno spiegato che è vietato mettere i sacchetti fuori casa prima delle 21. La regolarità degli spazzini non ci è stata preannunciata, ma l’abbiamo potuta notare di persona. Questo perché ogni settimana inizia con i ragazzi della nettezza urbana che interpretano canzoni olandesi nella strada sotto casa, lanciando i sacchi nell’enorme camion, che li precede sbuffando.

Assieme agli spazzini, e in certi casi prima, arrivano i gabbiani. “Teneri, i gabbiani, pio pio in riva al mare”. Tutt’altro. I gabbiani di Haarlem non sono per nulla teneri e li si vede lottare con sacchetti poco più grandi di loro, non perché i sacchetti siano piccoli, ma per le dimensioni di tutto rispetto che i volatili bianchi e grigi hanno da queste parti.
Può essere un’esperienza mistica veder sbucare il pesante uccello, grande come un piccolo cane di media taglia e dotato di un’apertura alare di un metro, da dietro un sacchetto della spazzatura all’angolo di una via. Magari quando si è in volata con la bici, per non perdere il treno andando al lavoro. Ho rischiato più volte di entrare in collisione con un pennuto e ho sempre temuto la violenza di un eventuale impatto, che finora ho – talvolta abilmente – sempre evitato.

Al di là dei problemi con la viabilità dei ciclisti, i gabbiani provano ad aprire un po’ tutti i sacchetti che trovano. Così i resti di cibo, assieme ad ogni altro genere di rifiuto, vengono sparsi in giro per le vie.
Di gatti, neanche a dirlo, nemmeno l’ombra. Devono aver avuto brutte esperienze da generazioni e devono esser giunti alla conclusione che ci sono moltissimi pennuti da cacciare, o fingere di cacciare, ma si lascino perdere i gabbiani, ché son pericolosi.
Quando i cittadini più esasperati penserebbero a risolvere la questione di petto, uomo contro gabbiano, a costo di uno spargimento di sangue, ecco che arriva un altro volantino del comune a calmare gli animi.

Stavolta il volantino è dedicato, tra le altre cose, ai gabbiani e illustra le linee guida per la convivenza con gli aggressivi e vandalici volatili. Convivenza obbligata dai primi tre punti, in cui si vieta ogni possibile intervento ai danni dei pennuti, protetti dalla Comunità Europea. Sono raggruppati sotto il titolo “quello che non si può fare“:

  • disturbare di proposito i gabbiani
  • rimuovere o distruggere i nidi
  • togliere le uova dai nidi o distruggerle

Il volantino suggerisce invece, con il titolo “quello che puoi fare“, ciò che si può o si deve fare:

  • la guerra preventiva è permessa, quindi prevenire la formazione dei nidi con l’utilizzo di spuntoni, reti anti-uccello, e cavi. Segue l’invito a spronare tutti i vicini di casa a farlo, per eliminare il problema dall’intero quartiere.
  • mettere le immondizie in strada il giorno di raccolta, solo pochi minuti prima del passaggio della nettezza urbana. Non manca, anche in questo punto, il consiglio di rivolgersi al vicino per sapere quando passa il camion.
  • ai gabbiani non piace il giallo. Questa affermazione, che si trova solo sul volantino ma non sul sito, lascia un po’ sgomenti, e precede l’invito a utilizzare sacchetti color limone, perché i gabbiani non ci metterebbero volentieri il becco.
  • segnalare i nuovi nidi. Questo non vi libererà dai gabbiani, ma aiuterete il Comune a mappare le zone, identificando quelle a più alta concentrazione.
  • NON DARE DA MANGIARE AI GABBIANI! Assieme alle anatre (tirate in ballo senza dar fastidio a nessuno, poracce!), non vanno nutriti perché “hanno già il cibo sufficiente per vivere”.  Conosco più di qualche anatra cicciottella che sicuramente dissente dalle affermazioni del Comune.

Terzo e ultimo titolo: “cosa fa il Comune“. Le promesse sono:

  • il Comune si impegna a mettere prima possibile i contenitori di rifiuti interrati, nei quartieri che ne sono ancora sprovvisti.
  • il Comune combatte per ottenere una sospensione della legge Europea sulla protezione della Flora e la Fauna, per poter diminuire attivamente il disturbo dato da questi volatili, “nel rispetto delle persone e degli animali”.

Pur essendo un amante degli animali, da quando abito qui ad Haarlem ho smesso di amare i gabbiani. Al punto da farmi molte domande sulla loro vita, ma soprattutto sulla loro morte: qual è il loro posto nella catena alimentare? Muoiono solo per la vecchiaia o andando a sbattere per un colpo di vento, oppure c’è qualche essere che se li mangia? Ho dato una veloce occhiata in giro e sembra che nemmeno ai pirati piacciano.

Svelatemi l’arcano.

|Ste|

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