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nuvole pesanti

Ringrazio innanzitutto l’entità ultraterrena che si è alzata dal mio umore, sul quale era rimasta seduta (a momenti distesa) per più di una settimana. Sono stati giorni tristi, che mi hanno tenuto lontano dal blog e dai contatti in genere, nuvole pesanti e scure sembravano accompagnarmi dovunque andassi.
Uno spropositato senso di nostalgia. Un senso di solitudine, amplificato dai cambiamenti di questo ultimo periodo: io e Aria ci vediamo soltanto un paio di ore al giorno, lavorando lei di mattina e io di pomeriggio. Per fortuna il weekend è ancora nostro e ci permette di ricaricarci, ma lo shock del distacco in terra straniera è stato notevole.
Comunque tutto è passato e mi sento di nuovo entusiasta e combattivo, grazie anche ad Aria che ha saputo starmi vicino, rassicurandomi su certezze che nemmeno lei può avere.
Non siamo soliti parlare troppo di sentimenti su questo spazio sul web, ma sarebbe ipocrita far sembrare tutto sempre una passeggiata, sebbene godiamo spesso di buon umore.

Tutto procede tranquillo, da ieri abbiamo l’assicurazione sanitaria olandese, un altro passo verso la regolarizzazione della nostra posizione qui. Non sono soldi che diamo volentieri, abituati alla gratuità del servizio italiano, ma sembra almeno che la qualità sia all’altezza del costo mensile. Speriamo di non averne bisogno, in ogni caso.

Al golf tutto normale, la nuova gestione dimostra di puntare molto sulla qualità e l’estetica, tanto che finalmente non vedo più solo etti di burro che si dibattono in una pentola rovente prima di avvolgere tranci di carne e dadi in polvere rivitalizzati con acqua bollente. Ora vedo cremine preparate sul momento, dessert da fotografia, pane fatto “in casa” e mille decorazioni curiose.
Il nuovo capo serve ai tavoli in giacca e cravatta in un ambiente illuminato da candele e luci soffuse, il gestore precedente se ne andava alle 17 e non toccava nemmeno una posata.
Rex è scappato. Doveva lavorare al golf sabato e domenica, ma è scomparso dai radar. Qualche maligno lo crede scappato in cerca della sua vecchia padrona, trovato il portone della gabbia chiuso male. Di sicuro c’è che sono andato io a farmi qualcuna delle sue ore domenica scorsa. Speriamo si presenti in fretta un sostituto perché la domenica ha riacquistato per me l’intoccabilità che aveva ai tempi della scuola e intendo rifiutare proposte domenicali. In ogni caso devo riconoscere che B., il nuovo boss, è stato molto corretto e mi ha ringraziato più volte per il favore fatto loro in quell’occasione.

Ieri, consegnando la posta, mi sento chiamare da qualcuno alle mie spalle. Mi volto e vedo il mio vecchio capo dei giornali in consegna. Mi chiede come sto, perché non lavoro più con loro, mi racconta che la morosa portava le lettere per DHL come me, ma che ora non le porta più, non è neanche più sua morosa ed è fuggita con un altro in una regione a est. Conclude il racconto non richiesto sulla sua vita rassicurandomi sul fatto che ora ha un’altra donna. Mi augura succes e ritorniamo entrambi a lavorare. Rimango allibito per la quantità di parole, ma altrettanto per il piacevole incontro con quello che è stato il mio primo datore di lavoro qui in Olanda. Non è da troppo che siamo qui, ma è già un po’ storia, no?

Ora vado a fare qualcosa da mangiare per affrontare poi l’ultimo pomeriggio pre weekend al golf, prima di due giorni di relax!
E le nuvole pesanti sono ormai all’orizzonte, viste da dietro mentre se ne vanno.

|Ste|

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cambio digestione

Anche nel mio piccolo universo golfista ci sono stati dei cambiamenti di non poco conto. Non è cambiata la mia posizione contrattuale, lavoro 5 giorni alla settimana, sempre tramite agenzia. E’ cambiata però la gestione del ristorante.
H., la titolare del catering (di cui già si era parlato in questa sede) se n’è andata, forse verso un altro ristorante da gestire, o forse in Trentino, a continuare la “via del vino”, come mi aveva accennato una volta (a giudicare dal pallore costante delle sue gote, direi che questa è la più probabile).
J., il giovane aiuto cuoco, ha appeso il mestolo al chiodo ed è andato a lavorare dietro al bancone di un coffeeshop di proprietà del cognato, nel Jordaan ad Amsterdam.
M., il cuoco egiziano, da lunedì è senza lavoro, in compenso ha una moglie casalinga e due figli di 5 e 7 anni. Parla solo olandese, ma ogni volta che gli ho chiesto cosa avrebbe fatto “dopo”, mi ha sempre risposto con un sorrisone e con la frase “no work, no car, no home”. Ho pensato anche di offrirgli il mio lavoro, ma il sorriso che sfoggiava mi ha sempre fermato. E credo che me ne avrebbe parlato, qualora ne avesse avuto bisogno.
I camerieri sono rimasti gli stessi, mentre è arrivato il nuovo capo catering, il cuoco e un aiuto cuoco. E assieme a loro è arrivata l’entità “nuova gestione“.
Il fenomeno si manifesta con l’introduzione “a tutti i costi” di innovazione. Si cambiano i metodi assieme alle tazzine, tutto nuovo. Così un centinaio di tazzine da caffè e da cappuccino bianche vanno ad accatastarsi in cantina per lasciare spazio ad altrettante tazzine, tutte in vetro con la scritta caffè Kimbo, Napoli. Il caffè sarà pure buono, ma le tazzine ora vanno asciugate una ad una per evitare aloni così evidenti da essere visibili al buio. I piattini altrettanto, con l’aggravante di essere aerodinamicamente perfetti, ma difficilmente impilabili. Dettagli. Il resto dei piatti nuovi non si comporta male, ma quelli vecchi sembravano non volere andare in cantina, da quanto pesavano mentre ce li portavo.
I metodi sono molto più precisi rispetto alla gestione precedente, con l’istituzione del carrellino per mettere le cose sporche, il cestino per le posate sporche e uno per i “porta salsa”. I porta salsa hanno svoltato, guadagnandosi un cestino tutto per loro. Direttamente su richiesta del capo. Paraculati.
Il posto che per anni è stato adibito ad appoggiare le cose sporche è ora da “tenersi SEMPRE pulito e libero”. Assurdo, ha svoltato anche lui, mentre la macchina spremiagrumi ha perso una posizione ed è finita accanto ai freezer al piano di sotto. Gli stracci vecchi sono andati in pensione e sono arrivati dei fantastici panni bianchi per il bar e blu per la cucina.
Il capo, che sembra un precisino, ma meno stronzo della precedente capa, mi parla molto spesso per chiedere di spostare cose, ma ha dimostrato di avere pazienza e senso dell’umorismo, quando mi sono presentato con gli stracci nuovi per il bar, appena lavati e asciugati, ma di un imbarazzante colore azzurro puffo.
B. mi ha sorriso mentre io dimostravo dispiacere per l’errato lavaggio e lui mi rispondeva sorridendo “oh, tranquillo, adoro il blu!”. Evvai!
I miei due nuovi “colleghi di cucina”, W. e S., sembrano tipi tranquilli e anche divertenti a vedersi, tanto è corpulento il cuoco W. (sui 35), e tanto è piccolo, di età, statura e peso corporeo l’aiuto cuoco S (17 anni, direi). Oggi mi hanno chiesto alle 15.30 se volessi mangiare. Ho declinato, ma alle 17.30 me l’hanno chiesto di nuovo. Questa volta ho accettato e mi è arrivato un pezzo di carne che sprizzava sangue se sollecitato col coltello. Non sono per la carne COSI’ al sangue ma non è la prima volta che mi arriva una bistecca così poco cotta, agli olandesi piace così, mi han detto. Appena entrerò in confidenza con i cuochi gli farò notare che preferisco la carne “ben cotta”. Non la cucineranno mai quanto vorrei ma mi risparmierò almeno la vista di quel sangue zampillante. Se poi ci avvicinassimo, chessò, almeno alle 19? Cambio digestione.

|Ste|

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Altro giro, altra corsa

Siamo in novembre. Per la maggior parte delle persone è un mese, quello che precede il Natale ed i suoi festeggiamenti, nulla di più; per me non è mai stato così. Nei miei autunni italiani, novembre è sempre stato il mese più faticoso perché preannunciava il cambio stagionale vero con freddo e pioggia e perché questo clima aveva sempre delle conseguenze piuttosto intense sul mio andamento umorale.

Ora sto affrontando novembre in Olanda, dove è risaputo che i climi sono più rigidi ed umidi di quelli cui ero abituata; ogni giorno mi viene richiesto uno sforzo decisamente maggiore per ‘affrontare il mondo’ (che inoltre parla una lingua dai fonemi poco dolci..). Aggiungiamoci il fatto che il mezzo di locomozione più usuale rimane la bicicletta e quando piove (dall’inizio del mese 3 giorni su 3.. niente male, eh?!?), si sa, ti bagni. Insomma, devo dire che mi impegno per trasformare ogni giorno in una buona giornata. E forse sono stata premiata in qualche modo perché a novembre ho trovato lavoro. Sono fiera di poter dire che ho seguito l’iter di ricerca comune, ho risposto ad un annuncio, ho superato un’intervista telefonica, ho superato un colloquio ed ora sono formalmente in prova come segretaria presso un’azienda che sta crescendo. Non soddisfo tutte le richieste preliminari di ruolo, ma compenso con l’esperienza diversificata. Per la seconda volta in vita mia, collaboro con un’azienda solo per le mie capacità acquisite e soprattutto ho la prospettiva di crescere professionalmente. Mi sembra naturale, ma non ricordo simili occasioni negli ultimi 10 anni.
Proprio per le sue caratteristiche e per la possibilità che mi viene offerta, sono abbastanza tesa per questo lavoro: è una bella sfida per me ed intendo vincerla, quindi devo imparare moltissime cose in poco tempo, ripescare nozioni ed esperienze non in uso quotidianamente da qualche anno, riprendere il ritmo e nel frattempo continuare a vivere.. in Olanda.
Sono proprio contenta!! Si prospetta un novembre di fuoco..

|Aria|

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La situazione che unisce

Da poco tempo sono disoccupata; è stata una situazione abituale negli ultimi anni, per cui non mi sconvolge più di tanto. Certo, se dovessi pensare ad una famiglia sarebbe diverso, ma nella situazione privilegiata in cui mi trovo (ed in cui sono cresciuta), non è qualcosa che mi terrorizza; l’ansia di non avere un’occupazione c’è, ma so che non se ne va finché non trovo un altro lavoro, quindi è più proficuo cercare lavoro ed occupare il tempo libero che ho a disposizione.
Mi sento vicina ad alcune persone che, a 1300 chilometri da qui, si trovano nella mia stessa situazione, ma senza l’ovatta che ho attorno io. Anzi, forse non me la passo poi male..

Dopo 6 mesi passati a lavorare quasi ogni giorno, questi primi giorni da ‘nullafacente’ non mi dispiacciono, li apprezzo invece!! Non dormo tutto il giorno (anche se almeno una volta vorrei ricordare ‘i vecchi tempi’ e fare una dormita 10 ore no-stop), sto parecchio su internet a cercare lavoro ed inviare curricula (sembra comunque un iter più comune rispetto all’Italia), mantengo i contatti e mi dedico alla lettura ed alla casa. Una situazione decisamente piacevole ed un po’ pigra, per me tipicamente autunnale.. Attenzione, però, questo è il primo autunno che trascorrerò in Noord Holland, che mi porterà al mio primo inverno qui.. Non sono l’unica a preoccuparmi della mia resistenza ai climi rigidi, alle intemperie..
Come dicono qui: Succes!! (Buona fortuna; si pronuncia come se ci fosse una ‘x’ al posto delle 2 ‘c’)

kenau park, autunno...

kenau park, autunno...

|Aria|

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biciclette e poliglotti

dall'altro lato della stazione

dall'altro lato della stazione

La scorsa mattina sono stato chiamato dall’agenzia per andare in una zorg huis, a svolgere il mio ormai solito lavoro di lavapiatti in tour. Così, verso le 11 vado in stazione per prendere l’autobus 75, che mi porta verso Ijmuiden, a nord di Haarlem. Mentre attendo il bus, assieme a una mezza dozzina di persone, perlopiù giovani studenti, voglio dare un’occhiata al cartello che descrive i lavori in corso che da qualche tempo impegnano il piazzale antistante la stazione centrale. Scopro che stanno lavorando ad un parcheggio sotterraneo, in grado di ospitare 5500 biciclette. Più 1200 al piano superiore. Rimango stupito e impressionato, pensando anche al parcheggio esterno già presente dall’altro lato della stazione , visibile nella foto.

Il 75 arriva e salgo. In perfetto olandese mi esprimo con le quattro o cinque parole che servono a comunicare la mia destinazione. L’autista ci pensa un po’ su, poi timbra 3 strisce della mia strippenkaart. Arrivo alla casa di riposo ed entro nel solito atrio scintillante che le accomuna tutte. Mi accompagnano alla stanza dove ci si cambia, e indosso dei pantaloni a scacchi azzurri e bianchi e un camice simil-cuoco. Li raggiungo in cucina, mi informano che c’è la pausa sigaretta e che devo parteciparvi. Dopo una decina di minuti andiamo nella stanza della lavastoviglie. Un parallelepipedo lungo 5 metri dove le cose entrano sporche ed escono pulite e calde. Alla lavastoviglie con me c’è una signora arzilla di stile un po’ metal, con dei tatuaggi visibili su entrambe le braccia. Lei parla solo olandese e, quando deve comunicare con me, lo fa parlando tranquillamente. Io capisco una parola ogni cinque, ma spesso basta a intendersi. Io cerco di comunicare meno possibile, ma quando lo faccio mi sforzo e riesco a metter in fila qualche parola. Con cuochi e altri aiutanti parlo in inglese, finchè quella che sembra essere la capo reparto, vieta (con il sorriso) a tutti di parlarmi in inglese. È per il mio bene, lo so, e cerco di stare al gioco ma qualche volta, di nascosto da lei, chiedo traduzioni prima di impazzire.
Durante la pausa pranzo una signora si avvicina e mi chiede conferma sulla mia italianità. Mi chiede se “hablo español”, lei è argentina ma sposata con un olandese, così ci facciamo quattro chiacchiere in spagnolo, più che altro sulla mia avventura di immigrato. Tutti ci ascoltano e guardano un po’ straniti, e io provo un po’ di gioia nel vedere finalmente loro incapaci di comprendere un mio discorso.

Alla fine della giornata mi rendo conto che, visto che continuo a pensare in italiano, oggi ho fatto i conti con ben 4 lingue. Altroché riposo!

|Ste|

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guide ikea per tutti!

Continuo a lavorare al golf e presso le cucine delle case di riposo, porto la posta due giorni alla settimana e attendo risposta da un’azienda americana che dovrebbe contattarmi per un colloquio, dopo averne fatto uno con Adams Recruitment, una agenzia interinale per stranieri. Qualche giorno o qualche settimana, il pronostico non richiesto sulle tempistiche datomi dalla ragazza dell’agenzia. Trepidante attesa, sarebbe un lavoro interessante.

Questa settimana si è aggiunta ai miei lavori di fortuna la consegna dei cataloghi Ikea. 700 guide da consegnare in una settimana. Non tantissime, ma molto pesanti, una quarantina di chili in media per via, occhio e croce. Mentre Radio Deejay in streaming dall’Italia pubblicizza la distribuzione dei cataloghi, io e Aria ci prepariamo per uscire. Infatti anche lei mi sta dando una mano, dopo che ho deciso di abbandonare l’idea del mio capo DHL, secondo cui avrei dovuto chiedere un carrello della spesa al supermercato vicino a casa, caricarlo di cataloghi e andare in giro per la città spingendolo. Ho deciso che farò più di un viaggio, ma con la mia fida bici. E, quando possibile, con il mio splendido amore offertosi volontario.
Imbottisco le mie grandi tasche porta – posta con le guide stipate e già ordinate. Poi riempiamo insieme le borse di Aria e partiamo, mentre il peso fa oscillare a destra e a sinistra la ruota posteriore, un po’ sgonfia e spalmata sull’asfalto. Raggiungiamo la zona e parcheggiamo una delle bici; mentre Aria mi segue a piedi, spingendo l’altra bici, io imbuco le guide in quasi tutte le buche delle lettere, seguendo l’indirizzo posto da me stesso con un adesivo prestampato su ciascuna copia, nelle settimane passate. Ad oggi ho ed abbiamo distribuito più della metà delle copie e conto di finire tra domani e venerdì mattina. E’ uno di quei lavori che non faresti se ti pagassero prima. Quando ti arrivano i (pochi) soldi, un mese dopo, ti sei già dimenticato la fatica che hai fatto e sei semplicemente felice perchè sono arrivati sul conto. Una visione forse semplicistica, dettata forse dall’aria tranquilla che si respira nella mia zona fatta di 10 vie che si incrociano tra loro. Gli incroci sono come quelli che mi proponevano a scuola guida, senza il semaforo nè indicazioni sulla precedenza. Pensavo fossero solo teorici prima di arrivare qui, invece ho scoperto che andando piano e rispettando semplicemente la precedenza a destra, si può tranquillamente superare un incrocio o una serie di incroci. La gente lascia spesso le porte socchiuse, a volte le chiavi sono inserite nella serratura esterna. I gatti sonnecchiano davanti alle rispettive porte di casa, a volte sull’auto ancora calda dei padroni. Sembrano altri tempi, o altri luoghi: si respira l’aria di un abitato di campagna, sebbene le case siano tutte a schiera, incollate le une alle altre. Sebbene a due minuti di bici si trovi il centro storico di una città che conta più di 150.000 abitanti.

|Ste|

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Di nuove visite, piccoli traguardi ed ignoto

Sembra un titolo sgrammaticato, ma volevo racchiudere in poche parole i miei pensieri.
Domani arrivano le prossime visite: Anna e Silvia. Come da copione, tutto è già stato organizzato, anche la sistemazione, che per l’eccezionale occasione sarà nella ‘nostra’ ex casa-chiesa. Emozione palpabile dall’Italia all’Olanda e ritorno per una settimana che prevediamo di trascorrere in buonissima compagnia.

Sta per iniziare il mio personale conteggio alla rovescia: tra circa un mese scadrà il mio ridicolo contratto di lavoro che non intendo rinnovare. Tra poco sarò senza lavoro, d’accordo, ma almeno terminerà questa situazione lavorativa frustrante. Non credo sia un aggettivo troppo pesante, perché la disorganizzazione, la superficialità (quando non la mancanza di rispetto) con cui vengono gestiti i rapporti economici e burocratici, l’affettività caricata erroneamente sul ‘lavoro di squadra, quasi come in una famiglia’ (quando sappiamo tutti che il lavoro è lavoro, ci sono altre situazioni e persone a cui legarsi affettivamente), lo sfruttamento del lavoratore, tutti questi atteggiamenti mi hanno fatta ripiombare in Italia.
In questi mesi ho vissuto ad Haarlem con un lavoro a Monfalcone. Me lo sono tenuto stretto perché è stato il primo e l’unico lavoro che ho trovato da quando sono qui, ma comincio a festeggiarne la fine, come un sollievo.

Questo significa anche che sarò disoccupata, ma non ho intenzione di perdermi d’animo. Magari ne approfitto per fare un po’ di ferie e poi mi dedico alla ricerca di un lavoro. Da quando l’ho fatto l’ultima volta sono passati 6 mesi, non ho ancora imparato l’olandese, ma lo capisco più di prima; ed adesso ho più informazioni sul lavoro, sulle agenzie che lo gestiscono, sulle paghe ‘dovute’ (esiste un minimo salariale in proporzione all’età del lavoratore).. Insomma so qualcosa in più, ho qualche contatto in più che intendo approfondire non appena mi libererò ed il futuro prossimo potrebbe anche essere roseo.

|Aria|

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silence, stilte, silenzio

La settimana seguente a ferragosto è stata molto intensa. Infatti, come già avevo parlato sulle pagine di questo blog, tra il 20 e il 23 agosto si teneva il K_L_M open, competizione per golfisti esperti che ha luogo annualmente in Olanda, ormai da qualche anno proprio presso il golf club per il quale ho lavorato e lavoro ancora su chiamata. Dal 17 al 19 si trattava solo di sistemare e preparare tutto per accogliere i numerosi visitatori dei giorni successivi, oltre all’ordinario lavaggio di piatti e posate in arrivo dal ristorante. Dalle finestre della cucina si vedevano passare camion enormi carichi di materiale per costruire le varie tende, che pian piano venivano erette, in mezzo ai campi da golf, piuttosto che nel parcheggio antistante la cucina.
Dal 20 è cambiato tutto, e me ne sono reso conto molto presto.
Arrivo alle 8.50, con gli oramai soliti dieci minuti di anticipo che l’Olanda sembra esser riuscita a donarmi (sono un ritardatario cronico, si sappia). Alla sbarra del golf resort trovo un signore simpatico che dà un’occhiata al pass che tengo al collo e mi lascia passare, augurandomi buona giornata. Pochi metri più avanti svolto a destra nel giardino del giardiniere capo, e, come ogni giorno, scambio la mia bici con il caddy elettrico che trovo nel garage. Ritorno verso la sbarra e giro a destra, salendo verso il ristorante. Appena inizio la salita noto che ci sono già molte persone in giro, ma è tutto molto silenzioso. Evito un personaggio vestito con una maglietta blu dello sponsor che staziona a metà discesa, continuo la mia strada ma vedo che delle transenne rosse bloccano la via poco più avanti. Nel frattempo sono giunto in cima alla salita e vedo molte persone, alcune di queste vestite di blu come il tizio che ho appena evitato. Innesto la retromarcia per mettermi da parte al fine di riflettere sul da farsi, il caddy risponde col classico fischio da retromarcia. Gli omini in blu, invece, rispondono alzando, tutti perfettamente coordinati, contemporaneamente una paletta bianca a testa, a formare una selva di dieci palette. Tutte con la scritta silenzio blu, in olandese da un lato e in inglese dall’altro. Rimango immobile dopo aver colpito nervosamente il cambio per far smettere quel fischio, solitamente appena percettibile, ma che oggi sembrerebbe poter rovinare l’esistenza ai presenti. Dopo qualche secondo scorgo il motivo di tanto silenzio: un illustre (?) golf player colpisce la palla con forza e, assieme alla selva di spettatori che mi sbarrano la strada, si porta la mano di taglio sulla fronte, per riuscire a vedere il volo della pallina verso la buca lontanissima. A questo punto parte un applauso secco e pulito, non vola una mosca, si sentono solo palmi scontrarsi nel silenzio, mentre un microfono grande e peloso raccoglie ogni impercettibile suono e una telecamera documenta il lancio. Si avvicina a me uno dei giardinieri e mi informa che non si potrà usare l’asciugatrice per i 4 giorni dell’evento, il rumore è troppo assordante per le delicate orecchie dei delicati golfisti. Rimango a guardare la scena per pochi istanti e decido di riportare il caddy nel garage. Premo l’accelleratore ma devo subito interrompermi per il rinnovato alzarsi delle palette. Ora sono proprio convinto di abbandonare il caddy: è decisamente stressante oggi. Solitamente, infatti, sfreccio allegro col solo debole brusio del motore elettrico tra il cinguettare degli uccelli, ora questi mi fanno sentire un tir su una pista ciclabile.
Raggiungo il ristorante a piedi con qualche minuto di ritardo; per buona parte della mattinata cercherò di capire come si possa essere così fissati da riempire di “palette silenzianti” un piazzale. Prima di arrivare a comprenderli mi stupiscono di nuovo quando, mentre entro nel ristorante per prelevare le tazzine sporche, scorgo un altro omino blu tra i tavoli che alza l’ennesima paletta. Un puntino all’orizzonte, appena visibile oltre le finestre del ristorante, colpisce la pallina, così l’allegria può ritornare all’interno del locale, con l’abbassarsi della paletta. Rinuncio a comprendere tutto ciò, e continuo a lavare decine e decine tra piatti e bicchieri, non pensandoci più.

Finito il mio lavoro, con l’arrivo del fido Rex alle 15, esco dal ristorante per tornare alla bicicletta lasciata in garage. Mentre percorro la discesa non posso non notare una moltitudine colorata di appassionati che circonda il green (la zona piatta attorno al buco dove deve finire la pallina, per capirci). Non resisto e decido di vedere da vicino almeno un tiro, almeno una pallina che cade nel foro appena visibile tra i fili d’erba rasati a puntino. Giro a sinistra e abbandono la strada asfaltata del parcheggio; percorro la stradina di ghiaia che mi divide dal green. Assaporo l’oggettiva bellezza di quel silenzio, dolcemente modellato dal suono del vento che passa tra alberi e arbusti. Lo scricchiolio della ghiaia sotto le mie scarpe mi fa camminare ancora più piano, ma desta l’attenzione di un omino blu qualche metro più avanti. Con sguardo complice gli comunico “lo so che posso sembrarti rumoroso ma, come vedi, ce la sto mettendo tutta, dopotutto camminare in punta di piedi in un campo da golf mi sembra una degna dimostrazione di buonissima volontà…”. L’omino blu si aggrappa alla paletta e l’alza ancora di più verso il cielo, il suo sguardo comunica solo “SILENZIO”, come se la paletta non bastasse.

Mi sposto di un passo a destra, e con la complicità dell’erba silenziosa li mando tutti a quel paese allontanandomi verso la bici.

|Ste|

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riposo, casa di

Sabato sono stato a lavorare, sempre tramite l’agenzia interinale, presso un grazioso residence pochi kilometri a sud di Haarlem, a Heemstede. Arrivo un minuto dopo le 1o, mi avvicino alle porte scorrevoli in vetro, il sensore le fa aprire, le supero e ne trovo delle altre pochi passi più avanti. Mi avvicino a queste ultime e sto per spiaccicarmi sul vetro, ma riesco a fermarmi appena in tempo, visto che non accennano ad aprirsi. Se fossi arrivato in macchina nel torpore dell’abitacolo non avrei avuto cotanti riflessi a quest’ora del mattino, la bici invece mi ha svegliato i muscoli e riempito il viso di aria fresca. Mentre annuso il vetro, sento la porta precedente chiudersi alle mie spalle. I due vetri che ho davanti ora scorrono silenziosamente lasciandomi vedere l’interno della struttura. Una sala molto grande, dai colori tenui, con qualche tavolo, ai quali qualche signora in età beve del the. Una cameriera bionda sta pulendo il bancone di un piccolo ma rifinito angolo bar. Ripenso alla frase di H. dell’agenzia: “entra e cerca la cucina”. Facile. Ci sono dei cartelli sufficientemente grandi che mi indicano chiaramente la via. Accompagnato solo dallo scricchiolio della porta che dà sul corridoio, arrivo in una specie di sala operatoria, tutta perfettamente bianca neon e grigio alluminio. In questa stanza enorme, piena di grosse pentole ed elettrodomestici in scala 10:1 rispetto a quelli che conoscevo fino ad ora, si vedono un cuoco sulla settantina, un ragazzo della mia età e un Enrico Mentana olandese che parlano tra di loro. Mi sentono arrivare e il ragazzo mi viene incontro. Si chiama Lars, nome svedese, aggiunge. Chiama Enrico vicino a noi e insieme andiamo verso una stanza che si vede attraverso i vetri della cucina. Questa stanza è stretta e lunga, impegnata per metà da un parallelepipedo enorme dalla quale entrano i piatti puliti ed escono piatti sterilizzati. Decisamente più grande della lavastoviglie in uso al golf, molto più severe le norme igieniche. Ogni volta che si vanno a prendere le stoviglie lavate per rimetterle al loro posto in cucina, bisogna lavarsi le mani con due detergenti diversi. Uno dei quali odora proprio di disinfettante. Così iniziamo a lavare ciò che ci arriva dalla cucina: pentole enormi, cucchiai enormi, scolapasta dalle dimensioni imbarazzanti (roba ideale per un picnic di pasquetta, dove tra l’altro mancava anche il semplice scolapasta per uso personale) e qualche bicchiere. Di dimensioni normali, stavolta. Ce la passiamo io ed Enrico, fino a mezzogiorno, immersi in una calma che poco dopo abbiamo scoperto essere apparente, o quantomeno transitoria. Intorno a mezzodì, Lars ci chiama e ci dice di seguirlo in cucina. Qui mi chiedono se sono mancino, nego, e mi danno un guanto destro di pelo, mentre per la mano sinistra un asettico guantino in lattice. Li indosso e subito mi viene consegnata una cuffietta-tipo-nonna-in-doccia, non ho le foto ma credo sarebbe comunque imbarazzante mostrarle. Mi danno la postazione numero uno: sul lato corto di un mobile alto quanto un tavolo, ma largo mezzo metro e lungo 4 metri circa. Sulla parte superiore di questo mobile c’è un tapis roulant in gomma che trasporta le cose da me verso l’altro capo del mobile, quattro metri più in là. Dopo un breve briefing iniziamo. Io estraggo il foglietto con il nome del fortunato vecchietto e lo appoggio sul vassoio, quelli da self service, poi aggiungo un piatto vuoto con sottopiatto termico e una scodella in metallo ripiena di zuppa con il suo bel coperchietto. In breve tempo imparo a leggere da solo se il vecchietto è incompatibile con il sale (metto quindi la scodella con la X sul tappo) o se invece della zuppa si può permettere solo il brodino. Ripeto quest’operazione un’ottantina di volte, i miei colleghi (siamo in cinque in questa curiosa catena di montaggio) riempiono il piatto e il resto del vassoio aggiungendo verdure, tritate o meno, riso in bianco e altre tremende quanto salutari pietanze. I vassoi vengono poi caricati su un carrello e spariscono infine lungo il corridoio, spinti dal cuoco che se ne va con loro. Finiti i piatti si ritorna nella stanza della lavastoviglie. Dalle 13 alle 16 è tutto un lavar di piatti, sottopiatti, copripiatti, bicchieri, posate, per un totale di quasi mezzo migliaio di pezzi, secondo i miei calcoli. Per fortuna, dalle 15 alle 16 ci dà una mano Lars, forse perchè vuole semplicemente rincasare ad un’ora decente.

Smetto la divisa a quadratini blu e bianchi e raggiungo Lars che ha quasi finito la sigaretta sul retro. Finita la mia sigaretta rimango prigioniero all’esterno dell’edificio, davanti ad una porta a combinazione. Provo con qualche sequenza numerica tra le più famose (000, 111, 112, 911..) ma senza successo. Faccio il giro dell’edificio e rientro attraverso le porte di stamattina. Faccio timbrare il foglio con le ore a Lars e decidiamo di tornare entrambi ad Haarlem in bici (ognuno con la sua). Lo attendo mentre raccoglie le sue cose e iniziamo a pedalare seguendo  Heemstede Dreef, chiacchieriamo dell’Olanda e di noi qui in cerca di fortuna. Quando sono a meno di 3 minuti da casa le nostre strade si dividono e mi augura buona fortuna, lo saluto con un tot ziens, chissà mai che Job Innovation mi mandi nuovamente in missione lì.

|Ste|

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normalità?

Pier è partito ieri, si è fermato qui sei giorni. Molto intensi e divertenti, tra Haarlem e Amsterdam. Fummo insieme nella capitale 3 anni fa, a febbraio. Fu la prima volta che Pier visitò l’Olanda. E se ne innamorò. In agosto A’dam è molto più frequentata da turisti e locali, visto che il sole si fa vivo più spesso, e l’esplosione di colori, razze e suoni raggiunge il suo apice proprio in questi giorni.

Pier @ Amsterdam

Pier @ Amsterdam

Così tra un pomeriggio passato a raccontarcela in un parco e un giro in bici nelle strette vie Haarlemesi, tra una giornata passata a camminare da un locale all’altro e una capatina “a vedere se ci sono gli sconti in vetrina” (come disse Pier riferendosi al quartiere a luci rosse), abbiamo passato questi sei giorni insieme.

Ora si torna alla normalità, mi vien da pensare. Non faccio in tempo a focalizzare quale sia la mia “normalità” (concetto venuto a mancare da qualche mese), che ricevo una telefonata da H., dall’agenzia interinale. Non vi ho detto che ieri sono passato nel suo ufficio per farle gli auguri per una buona ripresa del lavoro dopo le sue lunghe ferie. E per farle notare che le mie non esistono ancora, o forse sono state troppo lunghe. L’ho vista stupita per il mio racconto riguardo al golf, ma ho smesso di fidarmi delle espressioni facciali, soprattutto di quelle di H.: sembra sempre incazzatissima ma finora si è rivelata puntuale e utile. Quando lavora, chiaramente. E per almeno un mese dev’esser stata in Grecia. Capisco i parenti lontani, ma anch’io non ce li ho poi così vicini, nevvero?

Detto, fatto. Oggi mi ha chiamato due volte: una per dirmi che lunedì inizierò a lavorare nuovamente presso il golf (non si sa per quanto ma la prima settimana sembra sicura, il resto non chiedo nemmeno visti i precedenti), la seconda per dirmi che lavorerò anche sabato, da un’altra parte però. Evvai. Certo, un po’ tornare al golf mi rompe, visto il loro comportamento, ma ora so che non mi farò problemi a lasciarli per strada, qualora si presentasse un altro lavoro nel frattempo. Poi “schei xè schei”, no?

Buone notizie. Ora vado a consegnare la posta, ma c’è poca roba e mi ci vorranno al massimo tre quarti d’ora.

|Ste|

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